Questo
eurosistema ci impoverisce
Di
Carlo Pelanda (13-1-2009)
La posizione
di Tremonti è poco invidiabile. Se non renderà disponibili più risorse di bilancio il governo rischia una reazione insufficiente alla
crisi con gravi conseguenze di impoverimento della nazione. Ma se per evitare
questo pericolo ricorre ad un deficit oltre i limiti ammessi, il mercato
percepirà un rischio crescente di insolvenza del
mostruoso debito pubblico italiano e sarà reticente a rifinanziarlo. Tra i due rischi il secondo è il più grave ed immanente. E Tremonti non è criticabile per avergli dato priorità. Non
può far altro. Infatti parecchi analisti ipotizzano
che Francia e Germania usciranno meglio
dell’Italia dalla recessione perché hanno più flessibilità nel bilancio – meno debito
– per contrastarla con misure finanziate
in deficit. Dobbiamo rassegnarci? No. Andiamo a cercare la soluzione dove c’è
il problema: in Europa.
L’Italia ha
mantenuto la sovranità nazionale sul debito, ma ha ceduto all’eurosistema
quella sui mezzi per ripagarlo, moneta e bilancio. Tutti i partner
dell’eurozona lo hanno fatto. Ma per quelli a debito
più elevato l’unione monetaria implica un costo maggiore che per altri,
rendendola sbilanciata. Il disequilibrio, inoltre, è amplificato dal fatto che la Bce attua una politica
monetaria sostenibile da nazioni industrialmente forti e molto
ordinate come la
Germania e, pur meno, la Francia, mentre penalizza le economie deboli, per
esempio Grecia e Portogallo, o quelle forti, ma ad alto debito storico, come
l’Italia. Per due motivi. Tecnico, mancando un governo paneuropeo dell’economia
l’impatto della “moneta forte” non è attutito da politiche di compensazione.
Geopolitico, la Germania rinunciò al marco, ma alla
condizione che l’euro fosse gestito come il marco stesso. E lo statuto della
Bce “ad una gamba sola”, cioè la missione di difesa
dall’inflazione senza quella di favorire con la politica monetaria la crescita,
è il risultato. Per questo si dice che alla
europeizzazione della Germania corrisponde la germanizzazione economica
dell’Europa. In sintesi, l’eurozona è doppiamente squilibrata dalla mancanza di
strumenti di bilanciamento e dalla prevalenza del criterio economico tedesco
che privilegia il rigore anche al costo
dell’impoverimento, adatto ad un sola nazione del gruppo. Ora Berlino si è
accorta che, nel 2009, rischia una caduta fino al 3% del Pil e oltre il 10% di
disoccupazione, tra l’altro a ridosso di elezioni
(settembre). Per evitarlo sta mettendo in campo, pur in ritardo, risorse
antirecessive enormi. Da un lato, la tenuta dell’economia tedesca è vitale per
l’Italia che vi esporta componenti ed importa turisti.
Dall’altro, le imprese tedesche potranno godere di
aiuti impensabili per quelle italiane, ai limiti della violazione della norma
europea che vieta sostegni diretti alle imprese: prestiti bancari garantiti
dallo Stato (fondo da 100 miliardi) e finanziamenti per 50 miliardi e più. Farà un deficit notevole, il suo debito pubblico aumenterà.
Le imprese tedesche potranno competere contro quelle
italiane con un vantaggio asimmetrico. La Germania può fare quello
che all’Italia è vietato. Inoltre ha sempre rifiutato
un eurogoverno dell’economia e, recentemente, l’integrazione delle misure
anticrisi. Perché? Teme, in quanto più grossa, di
dover dare più di quanto riceve. Non cediamo alla tentazione, per il momento,
di mollare l’euro e agganciare la neolira al dollaro recuperando sovranità
economica perché la tempesta finanziaria in Italia sarebbe grave. Ma dobbiamo sussurarla affinché l’Europa capisca che
l’Italia non potrà sostenere impoverimenti così forti per restare nell’euro. E
se noi usciamo l’euro si dissolve. Non è solo
interesse nazionale. In generale, infatti, si tratta di dotare l’euro di un “capitale
politico”, restituendo alle nazioni in modi eurocompatibili almeno parte della
sovranità economica ceduta, con compensazioni per quelle con più problemi. Cioè fare il governo economico europeo. Nel nostro caso
specifico, ed altri simili, si tratta di trasferire una parte del debito
nazionale in un contenitore garantito da tutto l’eurosistema allo scopo di
ridarci flessibilità di bilancio nonché di ridurre il
costo della spesa per interessi (tra i 60 e 70 miliardi all’anno!). Non c’è qui
spazio per le tecnicalità, ma ci sono molteplici soluzioni. Il punto è (geo)politico.
O l’eurosistema cambia o ce ne andiamo. Se sui
giornali faremo questa pressione il governo, eurotimido anche per l’euroconformismo
che domina l’opinione pubblica, poi potrà usarla come leva per ottenere qualcosa.